La Bce ha annunciato che la politica espansiva (quantitative easing) terminerà con il 2018. Ma se il Qe è stato la molla principale che ha spinto le banche ad allentare gli spread sui mutui e a praticare tassi nominali prima d’ora mai così bassi, la sua fine non sembra genererà l’effetto opposto. Almeno nell’immediato. Dalle ultime offerte si evince che i tassi da saldo proseguono e sono addirittura più bassi ora rispetto a quelli proposti in primavera. Oggi è possibile stipulare un tasso variabile, nelle migliori condizioni (quando il mutuo è inferiore alla metà del valore dell’immobile – LTV<50%), allo 0,5%. I migliori fissi sono intorno all’1,4%.
Sorprendente è che sui fissi è ancora nutrito il numero di banche che applica spread tra lo 0 e lo 0,1%. Essendo lo spread il margine lordo che la banca si prefigge di ottenere dal mutuo ed essendo in molti casi prossimo allo zero significa: 1) che molte banche considerano oggi il mutuo un prodotto ponte per attirare clienti a cui vendere successivamente prodotti più profittevoli; 2) che nel futuro le banche immaginano di acquistare il denaro all’ingrosso a tassi più bassi rispetto a quelli attuali e di trasformare la differenza di questa operazione di “tesoreria” in un utile da agganciare indirettamente al mutuo.
Comunque sia, vista dal lato dei mutuatari – tanto quelli che si apprestano a chiedere un nuovo finanziamento quanto quelli che giustamente valutano un cambio in corsa delle vecchie condizioni attraverso le modalità della rinegoziazione (con la stessa banca) o della surroga (con un’altra banca) – si tratta di ottime notizie. Perché se la fine del Qe può essere un segnale in apparenza restrittivo, ci sono altri fattori che allontanano il momento in cui i tassi torneranno a salire con forza e quindi a costituire una fonte di preoccupazione per la categoria dei debitori.
Il governatore della Bce ha fatto capire che resterà accomodante. Dal 2019 la Bce non acquisterà più nuovi titoli sui mercati aperti (è questo il Qe) ma continuerà a ricomprare quelli che detiene in portafoglio e che andranno in scadenza. L’operazione di reinvestimento (cedole comprese) indica che la liquidità finora immessa non sarà drenata ma, molto semplicemente, non sarà incrementata. La seconda buona notizia – che spiega perché la stagione dei saldi dei mutui prosegue – arriva dall’inflazione. Quella “core”, depurata dai prezzi dei beni più volatili, ovvero alimentari ed energetici, a giugno dovrebbe scendere all’1% rispetto all’1,1% di maggio. Questo livello di inflazione è molto lontano dal target della Bce (vicino al 2%) e pertanto rappresenta un freno a future manovre restrittive.
Tutto ciò si riflette nei valori dei contratti “future” degli indici Euribor. Un mese fa gli investitori ipotizzavano che l’Euribor a 3 mesi – a cui è agganciata la maggior parte dei mutui a tasso variabile – sarebbero tornati sopra la soglia dell’1% a dicembre 2022. A distanza di un mese invece lo scenario è cambiato. Le aspettative ora danno l’Euribor 3 mesi del dicembre 2022 allo 0,83% e solo a giugno 2023 oltre l’1%.
Il dato sull’inflazione e altri dati macro che evidenziano un rallentamento della crescita dell’economia dell’Eurozona (a luglio l’indice Zew che misura la fiducia degli investitori in Germania è crollato ai minimi dal 2012) hanno spostato di sei mesi l’asticella rialzista dell’Euribor. Questo non potrà che salire – da oltre 1.000 giorni viaggia sottozero e in settimana quotava a -0,32% – ma lo farà ancor più lentamente di quanto si ipotizzava appena un mese fa.
Lo stato di quiete riguarda anche l’universo del tasso fisso, soluzione oggi preferita dalle banche nel momento in cui erogano o surrogano (perché sono consapevoli che a questi tassi così bassi non rischiano più di perdere in futuro il cliente attraverso surroghe di primo livello o la oggi molto gettonata “surroga della surroga” ). In questo caso dobbiamo osservare come si stanno muovendo gli indici Eurirs. In settimana l’indicatore a 20 anni è tornato all’1,39%, livello che non vedeva da fine maggio, ovvero da quando la crisi politica italiana (il “caso Savona”) aveva spinto gli investitori a rifugiarsi sul Bund tedesco facendone scendere il rendimento e indirettamente anche il valore degli Eurirs, ad esso collegati.
La notizia è che ora la crisi politica sembra in parte rientrata ma gli Irs sono ancora su quei livelli. Per le stesse ragioni (Draghi accomodante, inflazione in calo e dati macro dell’Eurozona deludenti) che stanno allontanando rialzi significativi dell’Euribor. Le famiglie non sono indifferenti alla nuova fase di saldi. Secondo Crif, infatti, a giugno, dopo 15 mesi consecutivi di calo delle richieste, le domande di mutui (sia nuovi che surroghe) sono aumentate del 3,6%.
L’unica incognita sul futuro riguarda lo spread deciso dalle banche. Se queste continueranno a tenerlo pressoché azzerato sui fissi e intorno allo 0,7% sul variabile (a cui però andrebbe sottratto l’Euribor se negativo, cosa da verificare come contrattualmente stabilita) i saldi proseguiranno anche quando il Qe andrà in pensione.